INTRODUZIONE


SCUOLA, CULTURA, PASSIONE.


Questo blog è curato da Mariangela Ungaro, insegnante di ruolo da 20 anni nella scuola primaria.
L'esigenza di creare un web blog aperto a tutti, con contenuti facilmente accessibili e scaricabili, nasce con l'intento di creare una cultura aperta e condivisibile di alcune esperienze che hanno avuto positivo riscontro nella scuola.

Questo è un momento storico-culturale molto complesso.
In questi anni ho pensato, ho inventato musiche, canzoni, ho raccolto spunti di lavoro e riflessioni : in questo blog potremo condividere la mia esperienza e quella di ciascuno di voi.


Per vedere le varie sezioni, è sufficiente cliccare sulle parole in alto.

Grazie a tutti coloro vorranno condividere e criticare, aggiungere, proseguire la riflessione e la ricerca. Un blog in progress...
Il viaggio verso la conoscenza continua.

Grazie.
Mariangela Ungaro, una maestra.













IN PRINCIPIO ERA IL VERBO



 musica per tutti


«In principio era il Verbo.» 

Esordisce così il Vangelo di Giovanni, tratto dalla Bibbia. Per “verbo” intendo la vibrazione, il suono. Mi piace semplicemente pensare che il suono, all’inizio dei tempi, creò il migliore dei mondi possibili. 

Avendo conosciuto ed esperito la musica per tutta la mia vita, sento irrinunciabile e forte l’esigenza di far conoscere a tutti quale sia il suo potere, e perché e quanto sia importante nella vita di ciascuno di noi. 



SUONO E MITOLOGIA 

Secondo diverse antiche culture, il suono è davvero all’origine dell’Universo. 

Per l’antico sciamanesimo druidico, la musica si identifica con la vibrazione primordiale che aveva dato vita all’universo e costituiva il cuore pulsante e vitale di ogni cosa. L’esperienza vibrazionale del fenomeno ondulatorio era ritenuta, insieme alla matematica, un fenomeno di base per tutte le cose esistenti. Il Suono primordiale (secondo il mito, identificato con l’urlo del drago ancestrale) aveva dato vita a tutto quanto esisteva grazie ad una vibrazione che si era estesa nell’infinito, come una corda vibrante crea le note e le melodie e le espande nello spazio sino ad essere rilevate dagli individui che le ascoltano. Secondo il mito, il Drago aveva lanciato il suo possente urlo verso il grande vuoto circostante, risvegliando la vita in esso nascosta. Il suo urlo rappresentava il primo suono della Natura, vibrazione archetipale che avrebbe creato le forme e gli esseri umani. Una vibrazione cosmica globale divenuta percepibile dall’individuo come le note di una melodia, attraverso le forme che essa aveva creato, dall’immensità dei fenomeni della Natura sino allo stesso individuo. Il Suono quindi è il riflesso della Causa Prima espresso sottoforma di vibrazione che scuote l’esistere dall’inizio dei tempi portandolo allo stato di consapevolezza. 

Secondo l’esoterismo dell’antico Egitto l’universo avrebbe avuto origine dal suono primordiale che Thot emise all’inizio dei tempi. A seguito del suo grido, articolato però su sette note musicali crescenti, sarebbero nate la Terra, il destino, il giorno, la notte e così via. 

Anche secondo gli Aborigeni australiani, dal suono primordiale, narrato come rombo sonoro, chiamato “bullroarer”, scaturì l’intero universo. Tale suono primordiale si era evoluto in sillabe sonore e note musicali ben determinate: le prime materializzazioni di questi suoni furono gli astri e le costellazioni zodiacali, infine l’umanità. 

La citazione biblica dice esplicitamente: “Disse Dio, si faccia la luce”. Nuovamente il Suono è rappresentato come facoltà creativa. La Parola di Dio diviene sostanza, la “vibrazione divina” crea la vita sulla Terra esattamente come narrano i miti delle altre culture. 

Concetto creativo che viene ripreso dall’evangelista Giovanni che inizia la sua opera dicendo: “In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio”. 

Potremmo quindi considerare l’universo una grande sinfonia cosmica in cui le note e il loro abbinamento creano la varietà delle forme, gli astri e tutti i viventi. 

Il suono creatore dunque, la parola, il suono emesso da Dio (parafrasando Bach: …e il Grande Architetto cantò un canone infinito...) si incarna nel mondo e nell’uomo. 

La grecità invece ci dà una visione duale del suono e del suo potere: nel mito di Orfeo la musica è meraviglia, miracolo, passe-partout per il regno dei morti. In epoca latina, Seneca, nell’Hercules Oetaeus, afferma: «cessava il fragore del rapido torrente, e l’acqua fugace, obliosa di proseguire il cammino, perdeva il suo impeto ... Le selve inerti si movevano conducendo sugli alberi gli uccelli; o se qualcuno di questi volava, commuovendosi nell’ascoltare il dolce canto, perdeva le forze e cadeva ... Le Driadi, uscendo dalle loro querce, si affrettavano verso il cantore, e perfino le belve accorrevano dalle loro tane al melodioso canto». 

Ma vi è anche il rovescio della medaglia: il mito delle sirene, in cui la musica affascina e ammalia, ma uccide anche. Secondo alcuni studiosi, il nome “sirena” deriverebbe dalla radice sanscrita svar, che significa ‘cielo’, con l’evidente significato di ‘splendore’, ‘attrazione’; secondo altri, il termine avrebbe una base semitica: sjr, che vuol dire ‘cantare’. Entrambe le etimologie ci portano a pensare a creature dal canto seducente, irresistibile ma ingannatore, persino portatore di morte. La musica e il canto diventano anche simbolo della fisicità sterile (e quindi della “non vita”) perché la sirena è donna solo per metà. 

SUONO E RITMO: DNA E PSICHE 

Il suono: un’arma potentissima, compresa fin dalla sua nascita da chi deteneva il potere; insito nel nostro DNA, la radice più antica destinata a fuoriuscire, a volte con risultati sorprendenti. Nasciamo nel suono e nel ritmo: cresciamo nel ventre materno, nell’acqua, da cui deriverà “madre”, matrix, il grembo di ogni cosa, appunto mare... In questo ambiente “marino” ci sviluppiamo, mentre ascoltiamo incessantemente il battito del cuore materno. 

Pensiamo a Pier Luigi Ighina, malamente deriso, che ci ha lasciato l’importante intuizione del cuore pulsante, a livello macrocosmico... 

La madre vive emozioni e situazioni: il suo battito cambia registro e il feto percepisce queste variazioni e le associa agli stati d’animo. Ecco perché un ritmo lento è associato alla calma, al riposo, mentre un battito accelerato genera apprensione quando non addirittura il più atroce terrore. Nessuno si calmerebbe ascoltando un presto, nessun essere umano si adirerebbe ascoltando una cullante ninna nanna. 

Il suono crea gli stati d’animo, ma in realtà siamo noi a percepirli come tali... Perché erano già in noi e lo sono da sempre. 

Innumerevoli studi sono stati pubblicati sul suono, sul linguaggio infantile, sull’ecolalia, sull’importanza del suono e come viene percepito dal feto, quale musica ascoltare in gravidanza e dopo, gli effetti sui neonati. Durante i miei studi di pedagogia all’istituto magistrale, mi colpirono due esperimenti; di uno non vi è traccia alcuna nel web, ma che ricordo bene (la mia insegnante di pedagogia disse che era stato insabbiato in quanto illegale); il secondo invece è noto come “L’esperimento del piccolo Albert”. 

Il primo: l’esperimento fu condotto su un gruppo di neonati (orfani e sani) che vennero isolati e privati di suoni e rumori. Ad infermieri e medici fu proibito di cantare ninne nanne ai neonati, non potevano parlargli né discorrere in loro presenza, dovevano far meno rumore possibile, niente musica in diffusione nell’ambiente, una sorta di stanza anecoica controllata. Già dopo pochi giorni, i neonati si rifiutarono di mangiare e si sarebbero lasciati morire se qualche suono non fosse finalmente comparso intorno a loro. 

Il secondo: a cura di J.B. Watson, considerato da molti il padre della psicologia comportamentale, ci rende comprensibile quanto sia indelebile e condizionante un suono: al piccolo Albert, non ancora un anno di età, venne richiesto di interagire con un topolino bianco, innocuo e morbido. Dopo un po’, tutte le volte che il bimbo tentava di entrare in rapporto con l’animaletto, fu emesso un suono sgradevole e lacerante – un martello colpiva un tubo di ferro. Il rumore infastidiva molto il piccolo, che via via si mostrava sempre meno portato a interagire col topino, fino a smettere completamente. Addirittura arrivò a mostrarsi irrimediabilmente irrequieto e spaventato anche molti anni dopo, semplicemente messo a contatto con una copertina bianca o la barba candida di babbo natale. 



IL SILENZIO NON ESISTE 

Ho dedicato la mia vita alla musica e allo studio del linguaggio. 

Il saggio introduttivo che avete tra le mani è il risultato di un immane lavoro e di un’esperienza di vita durata 35 anni; spero possa essere la giusta via per andare gradatamente alla scoperta del linguaggio musicale, dalle sue origini ai nostri giorni. 

Il suono ha in qualche modo creato la vita, insieme a tutte le concomitanze di cui la Scienza ci ha erudito in tutti questi secoli. La musica nasce con la vita sulla Terra. A tal proposito i fruitori di sostanze stupefacenti naturali riportano di aver davvero udito il suono della terra e delle sue creature, soprattutto quelle vegetali, silenziose all’orecchio umano, riscontrando un potenziamento notevole delle facoltà sensoriali. 

Il suono c’è sempre, anche quando non c’è! 

Vi sarà capitato di sentire un fastidioso fischio alle orecchie in momenti di silenzio assoluto, o quasi, soprattutto se abituati al rumore. Il compositore americano John Cage dichiara in una delle sue interviste che anche in una stanza anecoica – cioè “priva di eco”, una camera che, grazie a forma, dimensioni, materiali fonoassorbenti e fonoisolanti di cui è caratterizzata, è impossibile udire qualsiasi tipo di suono o rumore proveniente dall’esterno, mentre i suoni emessi all’interno non hanno riflessione d’ambiente – aveva udito due suoni ben distinti: uno grave per le sue viscere, uno acuto per il suo cervello. 



Il silenzio provoca nell’uomo la perdita dell’equilibrio psico-fisico, crea un senso di vuoto, smarrimento, addirittura allucinazioni in alcuni casi: l’uomo difficilmente resiste alla totale privazione uditiva, infatti gli astronauti si sottopongono a moltissime esercitazioni. 

I sensi dell’uomo primitivo erano estremamente più sviluppati rispetto all’uomo odierno; il “ben-avere” ci ha fornito diversi buoni motivi per smettere di usarli e quindi potenziarli. Ma i suoni fondamentali e gli stati d’animo da essi generati, o indotti, nel caso del musicista, e quindi assorbiti al contrario dal mondo esterno in sinergia con l’anima dell’autore, restano immutati dalla notte dei tempi, oggi e per sempre. 

Percepiamo tutti la musica allo stesso modo primordiale. Moriremmo senza. 

Qui non si tratta di aver fatto della musica una professione o un modus vivendi (i musicisti potrebbero benissimo essere considerati un sottogruppo a parte della specie Homo), si tratta di essere umani o ancora più semplicemente vivi. La musica ci rende davvero tutti uguali, ecco perché è definita giustamente un linguaggio universale. 

Orbene, se è palese la sua importanza, cerchiamo di capire su che cosa si fondi. 



DUALITA’ MACRO-CONCETTUALE E QUALITA’ DEL SUONO 

Su due pilastri: suono e ritmo, a dimostrazione della rassegnazione al macro-concetto di dualità, che nella storia della musica si è ampliato diventando anche melodia e armonia, solista e coro, concertino e concerto grosso, primo tema e secondo tema nella forma sonata, arpeggio e accordo nei gesti musicali, legato e staccato, piano e forte... 

La musica sembra qui fondarsi su una delle categorie fondamentali dell’uomo: la dualità. 

Una divisione netta che la storia della musica ha cercato più volte di lenire (la forma sonata, Schumann e la sua schizofrenia, Mahler e l’allargamento della tonalità nel sinfonismo, la Critica del Giudizio kantiana...); non potrà mai riuscirci completamente perché il dualismo è insito nella natura umana. 

Il suono ha la sua personale “trinità” – non me ne vogliano i credenti per l’uso improprio delle parole – Altezza, Timbro e Intensità sono le qualità fondamentali del suono. 

Altezza del suono è il suo essere più acuto, più grave o uguale rispetto a un altro. In sostanza si tratta della differenza di Hrz, ovvero dipende dal numero di vibrazioni dell’onda sonora: più vibra velocemente, più il suono risulta acuto e viceversa. I limiti dell’orecchio umano vanno da un minimo di 16 Hz ad un massimo di 20.000 Hz. Le frequenze più utilizzate però sono comprese in limiti più ristretti, precisamente tra 64 e 8.000 vibrazioni semplici al secondo. 

Timbro è quella qualità del suono che ci permette di distinguere un violino da un pianoforte o da un flauto. Il timbro è inteso come colore del suono tanto in inglese (tone-colour) quanto in tedesco (Klangfarbe). La voce dei vari strumenti musicali, oltre che la qualità della nostra stessa voce. È una grandezza multidimensionale: il timbro è determinato dallo spettro armonico, dato dalle sempre differenti distribuzioni di energia delle armoniche, ovvero una successione di suoni, nati dal primo armonico, che si presentano sempre uguali. Una sorta di intelligenza, coscienza del suono. E questo suono primigenio, da cui si generano le armoniche, mi fa tanto pensare alla prima cellula, la cellula “madre”. Una coscienza paradossalmente involontaria. Pensiamo alla voce: il timbro della voce ha la stessa unicità delle impronte digitali, nemmeno i gemelli monozigoti le hanno uguali. La letteratura ha tentato di descrivere le voci usando moltissimi aggettivi: dolce, secco, aspro, squillante, esile... Solo un’altra forma d’arte poteva riuscirci o almeno avvicinarsi. Il corpo umano può essere paragonato a un risuonatore: cavità o organi molli, situati nelle vicinanze dell’apparato digerente, interferiscono nella fonazione dei suoni linguistici, modificando le ampiezze delle armoniche e caratterizzando il timbro vocale. A proposito del discorso iniziale, i neonati riconoscono la voce della madre. 

L’intensità, ciò che comunemente chiamiamo il volume, è misurabile, come l’altezza. Dicevo prima che noi percepiamo il suono fin dal grembo materno. In effetti una donna gravida produce molti suoni con la voce: urla quando ha paura o è alterata o vuole attirare l’attenzione, ma anche sussurra, può parlare dolcemente, può cantare, può esternare vocalmente tutti i suoi sentimenti. Tutto viene percepito dal feto. E fin da quando nasciamo, reagiamo in maniera diversa a seconda dei suoni ascoltati: siamo spaventati di fronte ai suoni forti, meglio ancora se improvvisi, siamo consolati dai suoni dolci e dai volumi normali e bassi, siamo eccitati dai volumi forti... Se a tutte queste caratteristiche aggiungete il ritmo, avrete già compreso quale sia la forza della musica, su che cosa si basi, e di come abbia potuto, da sola, esternare, descrivere e connotare tutti gli stati d’animo dell’uomo. Da sempre. 

Andiamo ad analizzare ora gli strumenti e i gesti musicali, proprio per vedere che correlazione ci sia con l’uomo e i suoi stati d’animo. 



ONTOGENESI E FILOGENESI: L’UMANITA’ SONORA 

In una giusta analogia tra ontogenesi e filogenesi, sembra che il primo “strumento” utilizzato dall’uomo sia stato proprio la voce. Versi, grugniti, urla, sussurri, saranno stati i nostri primi vagiti a scopo sociale e difensivo, come per tutti gli altri animali. Se pensiamo a quanto si diceva della percezione del suono alla nascita, viene da domandarsi da quale creatura primigenia sia scaturito tutto questo, ovvero, più semplicemente, qual è stata la “Lucy” che ha pianto, gridato e sussurrato la prima volta, per reagire alle situazioni più disparate, e abbia immesso nel nostro DNA a tempo indeterminato questi cliché. 

Gli strumenti musicali sono arrivati molto dopo, prima delle civiltà antiche conosciute, presso le quali la musica era già materia di studio e reputata magia potentissima, fondamentale per i riti sacri, anche fruita semplicemente a scopo conviviale. I primi strumenti sono stati quasi sicuramente le percussioni – Kubrik docet (con la scena della scimmia che picchia con l’osso) in Odissea nello spazio. Percuotere altro da sé è uno dei primi istinti primordiali umani e animali, deriva dalla tattilità e ad essa rimanda immediatamente. Il suono scaturito favorì la costruzione di primi strumenti (i primi saranno stati tronchi d’albero o conchiglie, preesistenti in natura) non solo a percussione ma anche a fiato e successivamente a corde. Parallelamente al linguaggio vocale, che poi diverrà scritto, con l’avvento della Storia, grazie ai Sumeri, si sviluppò quello musicale che per certi versi ne attinge, ma contemporaneamente ne amplifica i significati. 

Il linguaggio musicale, analogamente a quello verbale, inizia oralmente, viene tramandato oralmente (anche nel medioevo), ma piano piano partorisce i suoi segni, i suoi simboli, e raffina le sue caratteristiche per diventare ancora più ficcante e precisa nelle connotazioni e descrizioni sia del reale sia dell’astratto. 

La musica è astrazione per eccellenza... astrale astrazione, oserei dire. Da compositrice vi confesso che ho avuto più volte la sensazione, mentre componevo musica (“a tavolino” eppure sentivo – con l’udito interiore – esattamente che cosa io stessi scrivendo), di muovermi in un’altra dimensione, di osare manovrare qualcosa che andava al di là delle mie fisiche possibilità. E non solo. Mi sono sempre percepita solo una “pedina” mossa da qualcos’altro, io non decidevo proprio niente, era il materiale acustico, il timbro, il ritmo già preesistente che organizzavo, che avrei potuto solo organizzare, sempre se ce l’avessi fatta. Questa dimensione costitutiva della musica rinvia al fatto che chi la produce o la compone in originale per la prima volta, percepisce molto forte la sensazione di essere “invasato”, di essere letteralmente un vaso, riempito di messaggi che arrivano da chissà dove o da chissà chi, e che, attraverso lo studio e l’applicazione, possano “incarnarsi” in suoni reali disposti nelle più diverse maniere. 

Il “farsi vaso” era un concetto già ben sviscerato dalla cultura greca: Omero, del gruppo degli Aedi, era appunto l’esempio dell’artista che “si fa vaso” della volontà degli dei, volontà che solo questo eletto può esplicitare, con mezzi che gli umani possano solo tentare di comprendere. Cieco davvero o meno non importa: probabilmente la cecità era un modo per far comprendere che l’uomo, privato di un senso, ne sviluppa altri. Una dimensione del sacro rispetto per il suono, per la parola e per la musica, che ha dovuto fare i conti con il ritmo: ed ecco che nasce la metrica, per ingabbiare o, meglio, liberare il suono nel modo giusto, da tutti comprensibile e riconoscibile. 

L’uomo è un animale sociale, anche se, per come la vedo io, è attualmente molto più animale che sociale (e non mi si parli di social network perché, secondo me, trattasi di inquietante specchietto per le allodole; allontanano le persone, si arriverà al punto che l’umanità rifiuterà del tutto il mondo reale preferendo quello virtuale, l’ombra; vi si rifugerà completamente perdendo la sua umanità e vivendo, anzi sopravvivendo, nel monadismo psicofisico più drammatico). Comunque, partendo da questo presupposto, è stato utile coniare un linguaggio peculiare per la musica. 

Nasce così la musica scritta, come la scrittura del linguaggio verbale, parallelamente alle tecniche riguardati le arti iconografiche. E se si scrive, vuol dire che si avverte chiaramente l’esigenza di fissare in qualche modo qualcosa ritenuta importante, che siano le Leggi di Hammurabi o il modo di ricreare sensazioni grazie a suoni, timbri e ritmi. Abbiamo disperso tutte le documentazioni musicali scritte prima del medioevo; molti conoscono un epitaffio greco, l’epitaffio di Sicilo, un canto funebre.
Sappiamo tuttavia che le odi composte per i faraoni egiziani erano sublimi, il giusto viatico per l’aldilà, e che le feste a Babilonia fossero tra le più sonore e meravigliose del mondo antico. 

Il linguaggio musicale era parte integrante della vita quotidiana; lo è da sempre e per sempre lo sarà. Se c’è vibrazione c’è vita – e qui l’analogia con l’acqua torna in modo prorompente. Man mano si strutturò un linguaggio scritto per la musica e la cosa è assolutamente affascinante. 

Come poter scrivere dei suoni e un andamento ritmico? 

Per la lingua è relativamente più facile, dal momento che è possibile disegnare chi o che cosa, (ideogrammi, pittogrammi, geroglifici) o associare un suono a un segno – lettera – in modo da formare parole con significato condiviso, ciascuna con un suo insito accento ritmico. 

La musica è astratta, è suono, è emozione. Come si può scrivere? 



MUSICA E SCRITTURA 

L’umanità ha fatto appello a tutte le sue risorse creative, mischiando suono e movimento, grafica ed emozione che si muovono nel tempo, matematicamente misurabile. E così Musica e Matematica si assimilano, così come si compenetrano Musica e Parola. 

Guardate questi segni e ditemi se non ci sono incredibili e affascinanti analogie con la vita quotidiana, con la pittura, con la parola. 
Guardate le note, sono quelle “palline” alcune bianche, altre nere. Quelle bianche, il bene senza fine, durano di più di quelle nere, che qualcuno potrebbe vedere come “contaminate”, e corredate di gambette, per “correre” più velocemente. La loro durata dipende dal colore (bianco o nero) e dalla quantità di “gambette”. Le pause seguono le stesse direttive temporali.

Mi viene da fare anche un’altra considerazione: pensiamo alla semibreve, per ciascuna di esse ci sono 2 minime, 4 semiminime e così via; ponete verticalmente il tutto con una forma triangolare con la punta rivolta verso l’alto e la base in basso, e avrete la piramide delle durate, simile in modo inquietante alla piramide sociale di tutte le civiltà umane.

Le note sono scritte sul pentagramma che ne determina l’altezza, altrimenti come le distingueremmo?

Il pentagramma – o rigo musicale – è costituito da cinque linee parallele sulle quali (e anche negli spazi tra esse) si scrivono le note. Il nome deriva dalle parole greche “penta” (cinque) e “gramma” (lettera, scrittura). Il pentagramma (cinque linee e quattro spazi) si diffuse nella notazione della musica polifonica a partire dal XIII secolo, nella Francia settentrionale. 



La sua storia parte con l’introduzione di una linea tirata a secco – cioè incisa a pressione sulla pergamena – e poi disegnata. In seguito le linee divennero due, contraddistinte dalle lettere C (Do) e F (Fa), colorate rispettivamente in rosso e giallo, per poi passare alle quattro del tetragramma (quattro linee e tre spazi) introdotto poco dopo l’anno Mille dal teorico Guido Monaco. Guarda caso proprio il giallo e il rosso, due colori fondamentali: forse abbiamo copiato dalla natura come al solito...







La corona: sembra davvero una corona sulla testa della nota o un piedistallo per i suoi piedi. Simboleggia la fissità, e ahimè, anche del potere e di chi lo detiene.











I gesti musicali: legato, è un segno che tutti riconosciamo leghi qualcosa. Le braccia abbracciano, legano, le mani si congiungono, e il suo segno è identico anche in musica, con le dovute sfumature, di portamento o di valore.

Pensate alla sensazione che vi dà ascoltare una melodia romantica: essa lega le sue note, come a simboleggiare il legame amoroso.





Legatura di valore:








Se una nota va troppo al di sotto del pentagramma, o al di sopra, si può scrivere aggiungendo tagli al collo alla nota stessa, sotto per l'acuto, sopra per il grave, oppure si può cambiare “chiave di lettura” e utilizzarne una più comoda.

Lo staccato è simboleggiato dal puntino sulla nota che va separata dalle altre quando è suonata o cantata. Vi lascio un esempio un po' piccante!









Le chiavi musicali sono diverse, e si posizionano sul pentagramma a seconda del loro punto di riferimento su cui sono state piantate come tende. Chiave di sol o di violino, che parte dal secondo rigo del pentagramma, chiave di Fa o di basso, che ci permette di leggere le note al di sotto del pentagramma, cui si aggiungono le cosiddette chiavi antiche, di soprano, di contralto, di tenore, ciascuna posizionata sul rigo della nota che tramutano in do. Ad esempio, se un fa sotto il do centrale in chiave di violino lo voglio leggere più comodamente, scriverò quella nota in chiave di basso, senza tagli, sul penultimo rigo.


Si tratta solo di un sinonimo. E come tale ha lo stesso significato, solo si accresce di significati più specifici (proprio come il sinonimo) a seconda dello strumento che lo suonerà e in che contesto. Come succede quando si traduce in un'altra lingua.





I riferimenti dinamici (relativi all'intensità) sono tutti iniziali di parole: p per piano, pp per pianissimo, f per forte, mf per mezzo-forte e così via fino a sfz che vuol dire sforzato.



Se ascoltiamo la parola “sforzato”, la presenza di suoni come sf e z ci ricordano davvero un'idea di qualcosa di pesante.



Anche la parola Trillo, che in musica è il suono ravvicinato e rapidissimo di due note vicine, viene scritto con la parolina abbreviata tr, perché? Perché questo suono vocale ci ricorda qualcosa di tensivo, infatti il trillo è un gesto musicale che si utilizza per descrivere il senso di attesa (le due note trillano, ma non vanno da nessuna parte finché non lo decide il compositore).


Se poi il movimento delle note che trillano comincia lentamente e procede stringendosi, l'effetto che si genera è talmente inquietante da farci pensare al peggio. (Pensiamo a questo proposito al semitono, due note molto vicine d'altezza, che oscillano in accelerando fino a creare un ritmo sostenuto...La cellula perfetta per la colonna sonora del film “lo Squalo”).







La scala: è esattamente l'imitazione del movimento in salita e discesa, con tutte le implicazioni psicologiche che lo spostamento connota. L'ascesa come qualcosa di elevante anche a livello emozionale, mentre la discesa, seppure più comoda anche metaforicamente, ci porta verso il grave, con tutte le implicazioni che si porta dietro.

Metto questa immagine, tra le migliaia disponibili sul web, per far capire che tra le note vi sono delle distanze, misurate in comma, che sono grandi (tono) o piccole (semitono).
A seconda delle note di cui si compone ogni scala, del loro ordine, e del loro “alterarsi”, (alzarsi o abbassarsi cambiando l'intonazione) le scale si possono definire maggiori o minori. Per gli addetti ai lavori non mi dilungo, ma per tutti gli altri mi limiterò ad una spiegazione semplice ma efficace perché basata sull'emozionalità.
Le scale minori ci danno una sensazione di tristezza, le scale maggiori di pace e allegria.

Ed ora una “chicca”: 
Bach compose il “Ricercare a 6 sul Tema Regio dell'Offerta Musicale”, di cui vi allego un'immagine.

“Le note ascendono come la gloria del re, le note discendono come la sua disgrazia”.








Una percezione psico-acustica ben determinata è percepita di fronte agli accordi, strana parola...Intendiamo per accordo un patto, una promessa, essere in accordo, star bene insieme, essere legati da interessi comuni, e l'idea sottesa è la contemporaneità.

Non a caso, gli accordi sono tutte le quelle formazioni di note (tre vengono chiamate triade ad esempio), che suonano simultaneamente.

La chitarra ha un modo particolare di scrivere e sistematizzare gli accordi:

Anche gli accordi, figli del macro-concetto della contemporaneità, possono essere maggiori e minori, quindi ci regalano sensazioni liete o drammatiche, ma ce ne sono anche di altre specie, come quelli diminuiti...fino ad arrivare a dei veri agglomerati sonori, grappoli di altezze suonate simultaneamente, chiamati cluster, e usati soprattutto nella musica contemporanea, o comunque nel '900, quando Arnold Schoenberg diede l'anarchia, e poi l'ergastolo della dodecafonia, alle note musicali.



Per tutti i segni musicali, vi rimando a questo trattato:http://passpi.altervista.org/dispense/Altri_Segni.pdf






Se l'accordo è il corrispettivo musicale della contemporaneità, l'arpeggio lo è della successione.

Nell'arpeggio vi sono un numero vario di note tutte più o meno della stessa durata che si succedono diacronicamente; spesso si tratta di accordi “svoltolati” in una determinata tonalità maggiore o minore. 

Come spiegherei ad un bambino, l'accordo è come una persona in piedi, l'arpeggio è la persona sdraiata. Se poi aggiungiamo il fatto che gli arpeggi siano il miglior accompagnamento di ninne nanne e canzoni tenere, il gioco è fatto.

Lo strumento principe di questo gesto musicale è l'arpa ovviamente, da cui prende appunto il nome.

Gli arpeggi hanno una connotazione diversa a seconda del tempo in cui vengono eseguiti.

Arpeggi eseguiti lentamente o a ritmo moderato conferiscono idea cullante e di pace, mentre se sono veloci, danno una sensazione di terrore incredibile, proprio perché percepiamo il principio dell'arpeggio come positivo e cullante e risentirlo in quella veste ci dà ancora di più un senso di smarrimento, come se vedessimo una dolce bambina dai capelli biondi aprire la bocca e mostrare fauci da vampiro.

A questo proposito si può parlare di progressioni: sono avvicendamenti rapidi o meno di note che si succedono senza soluzione di continuità, in modo ascendente o discendente, e ogni volta riprendono da un punto diverso, in relazione armonica con l'iniziale della frase precedente.

La sensazione avvertita è quella di viaggio, passaggio, ponte: le progressioni servono a muovere le armonie da un luogo all'altro, proprio come quando viaggiamo.

Il senso di aspettativa che si crea è altissimo, infatti siamo elettrizzati ma preoccupati durante un viaggio.
Perché a nessuno di noi è dato conoscere il futuro, ecco spiegata la ragione.

E c'è un'altra sensazione ancora, che gioca in tutte le regole che la musica si è data: il raggiungimento del piacere. Nel nostro caso specifico, parlando di progressioni, esse giungono al culmine prima o poi, e ciò potrebbe far pensare i lettori adulti ad una sorta di raggiungimento dell'orgasmo. Effettivamente, senza arrivare a fare pensieri “peccaminosi”, siamo pervasi da un senso di arrivo e di pace quando la progressione finisce, e arriva in una qualche regione armonica.

Il trillo di cui abbiamo già parlato, ha la stessa funzione tensiva delle progressioni, con la differenza che le note sono decisamente di meno e si arrotano velocemente creando un senso di attesa che non ci fa presagire dove terminerà e quando, sentimento che genera appunto tensione.

Per creare il senso di aspettativa però, è vero che la musica utilizza anche tutto ciò che è contrario al movimento, e cioè il suono fisso. 

Un suono che resta fisso, al massimo si spezza in più timbri e passa da uno strumento all'altro, soprattutto se si tratta di suoni lunghi assegnati agli strumenti a fiato.

Questo suono fisso è fastidioso, ci mette in allarme perché se il movimento repentino è una reazione al pericolo, anche restare “ghiacciati” è una reazione psicologica normale di fronte al pericolo per alcuni individui.


Questo suono fisso ci penetra inesorabilmente fino alle ossa e non vediamo l'ora che finisca perché è innaturale.

Eppure se pensiamo all' OM tibetano e a molti mantra, si tratta di suoni fissi, spesso viscerali e gravi, con buona risonanza, che servono al raggiungimento della pace, del nirvana. Ipnosi in sostanza attraverso il suono. 

E qui entriamo in un campo minato. Sembra che da studi peraltro non recenti, sia emerso che le questioni emozionali alle quali si lega la musica occidentale siano diverse nella musica orientale.

A questo proposito, vi riporto l'esempio che faceva il maestro Bacalov (con il quale studiai per un breve periodo musica per film): diceva che se un uomo dell'occidente ascoltava un raga indiano del mattino e un raga della sera, percepiva le stesse emozioni. In realtà per un orientale ascoltare quelle due produzioni musicali equivale all'occidentale che ascolta una marcia nuziale e una marcia funebre. Ma l'orientale lo percepisce, l'occidente no.

Qui però credo che si vada su un altro territorio, cioè quello della musica etnica, ovvero una produzione che va aldilà degli stilemi universali ma che cerca la sua unicità proprio nel suono del contesto in cui opera e quindi è diversa dalle altre, è unica, e soprattutto è riconosciuta solo dalle persone di un dato territorio. 

Pochi di noi saprebbero riconoscere una tarantella pugliese da una pizzica calabrese...ma l'idea di fondo di ballo sfrenato e divertente c'è in entrambi i casi, quindi la qualità dell'universalità possiamo lasciarla alla musica.


Sempre continuando a parlare di gesti musicali, la cui analisi è importante ai fini della nostra indagine, sembra che ci sia un gesto musicale che imiti quando starnutiamo: si tratta dell'acciaccatura, il nome non credo sia voluto, ma si chiama così un movimento di spostamento repentino di una nota che si addossa ad un'altra di maggior importanza e spesso durata.

E' usata come un imbelletto o un merletto nelle parti musicali strumentali ma fa parte anche del nutrito bagaglio di “salti mortali” che eseguono i cantanti lirici, eseguendo pezzi virtuosistici.






Qual è lo scopo della musica?
Essa esiste per essere specchio quanto più possibile fedele degli stati d'animo umani.
Essa è la nostra vera voce, universale.
E facendocela sentire, ricordare, ci cura l'anima: l'effetto catartico, che accomuna tutte le arti.

Come ci cura? 

Il suo ascolto giunge alle nostre orecchie sicuramente filtrato dalle nostre categorie mentali (ecco spiegato perché quel genere o quell'autore ci aggradano più di altri, e perché i bambini ascoltino più tranquillamente rispetto agli adulti la musica contemporanea) ma attinge da noi stessi, per quanto ne siamo inconsapevoli.



Attraverso la presentazione astratta dei suoni e dei ritmi, il nostro “primitivo interiore” (o bambino, se pensiamo all'analogia tra ontogenesi e filogenesi) si ricorda di sensazioni che quei suoni generavano, come se vivessimo in una dimensione diversa da quella reale.



E così una sinfonia dalle tinte romantiche ci ricorda i nostri momenti amorosi e ci regala sensazioni piacevoli, o nella peggiore delle ipotesi, ci farà finalmente piangere, innescando il processo di guarigione dato dalla consapevolezza, guarendoci. 

Anche le discoteche hanno un effetto catartico: il ritmo veloce ed eccitante diverte, stordisce, è quello che vogliono i giovani, è normale; se non ci fossero effetti collaterali (abuso di droga e alcolici) la musica farebbe semplicemente sfogare i nostri giovani dalle grandi potenzialità ormonali, in un certo senso calmandoli. 

La musica è ancora fine e punto fuga di eventi di massa, ha un grandissimo potere aggregante.

E questo, finché lo sanno le case discografiche va ancora bene, il problema è che lo sanno anche quegli umani che hanno tanto, tanto potere.

Le masse, invece, per lo più ignorano questo potere, vi si lasciano trasportare, trascinare acriticamente. Lo scopo ultimo e ambizioso di questa pubblicazione è proprio quello di diventare critici e pensanti in fatto di musica, anche senza diventare necessariamente addetti ai lavori.

Uno straordinario potere, quello della musica. Come si esplica?

Partendo da quello che personalmente ho definito “totem sonoro”, una serie di suoni e ritmi insiti in noi prima ancora di nascere e che abbiamo minimamente assaggiato parlando di segni musicali.

Cominciamo a parlare di timbro. 
Abbiamo detto che è quella qualità multidimensionale che ci permette di riconoscere uno strumento da un altro, una voce da un'altra.

Gli strumenti non sono altro che l'astrazione proiettata su un oggetto della voce umana.

E si sono sviluppati, sono molto cambiati nel corso dei secoli, sia per essere suonati in modo più comodo e pratico, sia per potenziarne le caratteristiche, sia per avvicinarsi sempre più alla voce umana.

Una sorta di proiezione astratta della voce, e ciascuno strumento ha la sua voce, è una voce.

La voce parla, gli strumenti parlano.

Hanno frasi (insieme di frasi musicali), lettere (cellule musicali su cui si fonda la composizione), parole (le sequenze di cellule musicali mutate).
Hanno un tono forte o sussurrano (la dinamica musicale)
Hanno una velocità, un ritmo, un'ipnosi (l'agogica musicale, i colori)
Hanno una forma.

Possono esprimere tutti i sentimenti dell'uomo, anzi connotarli aldilà del fisico.

Provate ad ascoltare gli esponenti delle principali famiglie da soli, ma ascoltate per davvero: vi accorgerete che tutti parlano, hanno solo voci diverse, ma si esprimono nello stesso modo.


Le famiglie sono: ARCHI, LEGNI, OTTONI, PERCUSSIONI.
Poi c'è la famiglia dei direttori d'orchestra...









Ciascuno degli strumenti ha non solo la sua voce ma può avere più di un carattere decisamente unico, come se fossero attori poliedrici.

Pensiamo al flauto, il più dolce, bucolico tra gli strumenti, quando suona piano, mezzoforte e lentamente...che idea di pace, sembra di stare in un prato verde in una fresca mattina di inizio estate o l'apre midi …

Ma se cede il passo al cuginetto ottavino, ecco che il suo suono diventa penetrante e fastidioso, ideale per marcette, e con frasi brevi e ascendenti per simboleggiare urla di terrore.

Non credo che la correlazione tra l'uso militaresco e le urla sia casuale.
In ogni caso, lo stesso strumento ha due caratteri diversi.








Idem per l'oboe e per similmente per il fagotto: ascoltateli nella scena dei campi, brano tratto dalla “Sinfonia fantastica” di Berlioz. 

Mai ci furono voci più soavi, vellutate, melodiose, piene di armonici e di espressività.

Siamo automaticamente trasportati in un paesaggio all'aria aperta. Perché? 
Perché le rappresentazioni teatrali, che nel rinascimento ritraevano scene campestri avevano preso in prestito dal mondo contadino e pastorale gli strumenti e le sonorità.
Ma provate ad ascoltare gli stessi strumenti in altri contesti come ad esempio l'oboe nel brano di Mussorsgkij (ne troverete un saggio intero in questo libro) “Samuel Goldenberg e Schmyle”, l'oboe è più petulante di una bambina di due anni capricciosa; il fagotto è il peggiore dei “bollitori” quando rappresenta il nonno che borbotta nell'opera “Pierino e il lupo” di Prokofiev.













Quindi, come una persona cambia carattere e atteggiamento a seconda del contesto in cui si trova ad operare, così gli strumenti sfoderano le loro caratteristiche per descrivere e connotare situazioni e stati d'animo.



Esilarante la scena della lotta tra due artisti in un cortometraggio della Pixar agli esordi.


Un artista di strada è suonatore di legni e ottoni, mentre l'altro è grande suonatore di archi. I due iniziano a litigare per ricevere la monetina di un bambino, e la lotta musicale dipinge una scena pazzesca di animazione 3D. Gli strilli degli archi acuti, rinforzati da quelli gravi che suonano a tutta forza, provano a contrastare una fila di corni e la sezione di ottoni e legni al completo. Guardatelo e godete.

Il corno francese è la sua idea di grandezza. Esatto, esso è la grandezza.
Gli spazi in cui veniva udito ci danno una certa percezione approssimativa delle grandezze d'onda dello strumento, uno dei primi strumenti antichi.
Un signal preciso che tantissimi compositori hanno usato.
15 metri di ottone avvoltolato sapientemente per stare compatto in poche decine di cm, che sfociano in una campana di 28 m di diametro, ed essere suonato con sole tre valvole o pistoni.
All'inizio del XVII secolo, apparvero i corni naturali, detti abitualmente "corni da caccia", strumenti che appunto venivano suonati durante le battute di caccia. 
Ecco da dove viene quella grande idea di spazio aperto quando udiamo un corno... e le corse a perdifiato a cavallo che ci verrebbe voglia di fare...

Tutte le scene di avventura nei film sono musicate con l'orchestra che vede i corni ben stagliati e melodici. Ideali. Anche per infondere coraggio.




La reminiscenza invece è un sentimento che appartiene più di tutti ad un unico strumento: la cornetta del postiglione. (Il vecchio simbolo delle poste italiane per intenderci)


Essa suona nella terza sinfonia di Mahler, esattamente il terzo movimento. E' l'anima della terra, del bosco e delle sue creature, una voce dall'oltre mondo. (ne troverete un saggio monografico in questo volumetto).


Ci sono infine degli strumenti a fiati che hanno legato la loro fortuna al mondo americano di nuova formazione, che ha generato il blues, il jazz ed ha un sound fortemente connotato. Sto parlando del clarinetto, che ha legato la sua fortuna al jazz e dell'armonica a bocca, immancabile per creare quel sound western per cui è insostituibile.






Immancabile nelle produzioni di Piazzolla il bandoneon, che è diventato lo strumento simbolo dell'America latina e del tango argentino, o la fisarmonica che fa tanto Francia come la chitarra fa altrettanto Spagna.


Altrettanto considerabile strumento etnico, è lo zufolo andino.











Il violoncello e il contrabbasso sanno essere decisamente “cattivi” e cupi quando suonano in modo percussivo (fate caso al fatto che gli archi cominciano a suonare in modo percussivo nel '900, cioè con l'avvento dell'industria, e dei suoi rumori ritmici) soprattutto quando si “incistiscono” su ostinati che ci giungono inquietanti.



Ma sono due strumenti assai dotati di ironia, anche verso se stessi. A questo proposito vi rimando alla lettura più avanti di che cosa e come suonano i due quando devono descrivere tartarughe, ed elefanti che ballano il minuetto.












Il violino, il grande trasformista: può essere qualsiasi carattere; allegro, esilarante, ridanciano, sommesso, disperato, gridato, infreddolito, supplichevole, drammatico, ironico, non sappiamo mai quando ma possiamo intuire a posteriori perché inserendolo nel giusto contesto.



Volete sentire un violino infreddolito? Ascoltate il Concerto di Sibelius per violino e orchestra.


Non so se sia un violino o una foglia autunnale strenuamente attaccata al suo ramo, schiaffeggiata dal vento, che racconta il suo stato d'animo attraverso il suono.




Il violino del musicista che suonava sul Titanic.








L'arpa: acqua cheta, non passar che ti annega..Eccola, lei, elegantissima come una signora d'altri tempi, giunonica, affascinante, con 7, sì, dico 7 pedali, per alterare ogni nota, e le corde colorate per vedere subito le altezze..



Utilizzata come la principessa degli accompagnamenti lenti, lunari, può essere la peggiore delle coltellate nei cluster o dei trampolini per i lanci orchestrali in grande apertura.


Con piatti sospesi e archi che le reggono bordone, l'arpa potrebbe lanciare qualsiasi orchestra, con la forza di uno tsunami.








C'è poi la chitarra, che più di tutti ha subito l' elettrificazione e la modernità. Può essere dolcissima, pacifica, legata, romantica e struggente, ma anche prodigiosa per virtuosismo quando esegue parti solistiche e melodiche, ma è la peggiore delle bestie rabbiose quando accompagna le ritmiche più spinte dal rock al metal






Le percussioni sono una famiglia a parte, e anche un mondo a parte. 



Alcune percussioni (chiamate pelli perché suonano la pelle autentica oggi ecologica) sono intonate, ovvero suonano davvero una nota definita, così come gli strumenti a percussione forniti di tastiera come xilofono, vibrafono, pianoforte, marimba, celesta, glockenspiel, mentre moltissime altre (cymbals, piatti sospesi, piatti, tam tam, gong, campane varie, e oggetti addirittura di uso comune che generino suoni e rumori utili a quella composizione. E così si suona anche lo “strecaturo” per lavare i panni, cui si aggiungono maracas, crotali e così via. Dopo diversi anni di lavoro compositivo posso affermare con certezza che non ho ancora scritto per tutte le percussioni esistenti, anche se ho spesso suonato le percussioni in modo inusuale, ad esempio avrete un riverbero eccellente se lasciate pedalizzato un suono di vibrafono suonato con un archetto da violino.



Tra le mie percussioni preferite c'è il wind chimes, una serie di luccicanti e tintinnanti campanelle tubolari. Si può costruire anche con le chiavi.





Avremo modo di riparlare meglio del ritmo e dei suoi archetipi nei saggi monografici successivi.

L'organo ha legato la sua fortuna alla musica liturgica e sentire il suo suono ci rimanda subito ad una dimensione sacrale. Ancora oggi suona nelle chiese durante le funzioni liturgiche, ma anche nelle orchestre, anche se è piuttosto raro ed è usato in composizioni che per qualche ragione hanno bisogno di quella punta di sacro.

La combinazione nel tempo di dinamica, caratteri strumentali e timbrici, volumi, cellule, gesti e struttura della composizione, generano tutto il mondo musicale del brano che ascoltiamo e tutte le sue avventure, i suoi sviluppi, le sue tragedie, nemmeno stessimo celebrando una metafora della vita di ciascuno di noi. Quante cose eh?!



Buona lettura dei saggi successivi: credo che questa introduzione sia stata importante per comprendere meglio, soprattutto da parte dei non addetti ai lavori, le musiche raccontate e i film ascoltati nei capitoli che seguono.


Mariangela Ungaro














I MIEI LIBRI PUBBLICATI 







Mariangela Ungaro ha vinto nel 1999 il premio letterario nazionale "Ivonne Fornaciari" con una novella dal titolo "Odnom" e con il romanzo "Ricordi d'estate".

La novella è edita dalla casa editrice "4Elle " di Genova. 

Nell'agosto 2001 vince la targa "Superprestige" al concorso riservato a poeti e scrittori "W. Shakespeare" per l’eccellente lavoro svolto in più sezioni, dalla novellistica alla poesia, dal saggio critico alla sceneggiatura teatrale. 

Vince la menzione d’onore al Concorso “Tolstoj” per la miglior raccolta di poesie inedite. 

Ha lavorato come giornalista di “Mediami.net” giornale interattivo, con una sua rubrica dedicata ai concerti di musica classica e leggera, interviste agli interpreti, critica alle colonne sonore dei film del momento. Ha lavorato come addetto stampa per il portale Circuito Musica.

Per la rivista "Best Movie" ha scritto un articolo sulla musica di pubblico dominio nel cinema.

Dal 1996 è docente di ruolo a tempo indeterminato nell’area umanistica presso la scuola statale.




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