16 Aprile 2018
La parola del giorno è
Croce
[cró-ce]
SIGN Forma che consiste nell'intersezione di due linee dritte; antico strumento di pena; tormento; simbolo cristiano
Dal latino [crux], forse di origine fenicia.
Si potrebbe pensare che un termine del genere, nei suoi significati, sia stato rivoluzionato dal cristianesimo, per cui la croce, mezzo e segno della morte di Cristo, è il simbolo più pregnante e ricorrente. Ma si tratta di una rivoluzione piuttosto sottile.
Il termine latino 'crux' aveva già quei significati figurati di pena, dolore, con cui lo conosciamo oggi. In effetti nasce significando concretamente il noto strumento di pena, che consisteva in due assi perpendicolari a cui veniva inchiodato o legato il condannato fino alla morte. La vicenda di Cristo si installa proprio su questo ben consolidato immaginario, che trovava nella croce una delle pene supreme.
Curiosamente la generalizzazione del nome della croce nel senso di forma (anche segno grafico) creata da due linee dritte che si intersecano procede induttivamente da questo simbolo. La rivoluzione sottile e notevole sta quindi nell'aver reso disponibile la forma essenziale della croce come simbolo e segno generale.
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Michelangelo Buonarroti, Giunto è già 'l corso della vita mia, vv. 7-14
Onde l’affettüosa fantasia
che l’arte mi fece idol e monarca
conosco or ben com’era d’error carca […]
Né pinger né scolpir fie più che quieti
l’anima, volta a quell’amor divino
c’aperse, a prender noi, ’n croce le braccia.
Ebbene sì: tra le altre cose, Michelangelo scolpiva anche sonetti. In realtà lo stampo è tradizionale, petrarchesco; tuttavia un temperamento così peculiare non poteva non lasciare una traccia. E infatti Michelangelo spesso ingarbuglia la struttura, inasprisce i suoni... Imperizia? Forse, in parte. Ma anche riflesso del suo carattere: imprevedibile, ruvido e schietto.
Questo sonetto è forse il più affascinante: l’artista, ormai anziano, si volta a considerare la sua esistenza; e inevitabilmente ci parla dell’arte, il grande amore della sua vita.
Dapprima la descrive come il frutto di un’«affettuosa fantasia»: un termine che ci ricorda la forza immaginifica della sua produzione, ma anche le passioni tumultuose che l’hanno nutrita. Poi però tratteggia anche il volto tirannico dell’arte: un idolo affamato, al quale ha sacrificato ogni altra cosa (e perciò, appunto, piena d’«errore»).
Emerge così il ritratto di una vita inquieta, che strenuamente ha cercato nell’arte il proprio significato, raggiungendo risultati straordinari; e che pure, sul finire, sente che questo non le basta più. Né dipingere né scolpire potranno più «quietare l’anima», adesso.
Questo è il tormento che percorre la poesia, vibrando nel suono insistito delle “R”; fino a quel difficile nesso consonantico, che fa quasi inciampare la lingua: «’n croce». Il discorso si compie così – foneticamente e contenutisticamente – nell’ultimo verso, che fonde in un’unica immagine due concetti opposti: la croce e l’abbraccio.
Dunque questa vita travagliata, piena di contraddizioni, trova infine sbocco nell’«amore divino», che assomma in sé il dolore più bruciante e la pace più profonda. Il paradosso divino, si direbbe, rispecchia il paradosso umano.
Peraltro il sonetto è l’ideale didascalia delle ultime Pietà di Michelangelo, che esplorano con altri strumenti il nesso croce-abbraccio. Esse inoltre non sono tecnicamente perfette come le sculture precedenti; anzi, sfumano nel non-finito, come se tentassero d’esprimere qualcosa di non interamente formulabile. Non sono più un’affermazione, sono una domanda… forse una preghiera.
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Lucia Masetti, dottoranda in studi umanistici all'Università Cattolica di Milano, ogni lunedì apre uno scorcio letterario sulla parola del giorno.