Anche nel film “Sussurri e grida” (1972)
con le musiche di Pierre Fournier, troviamo moltissimi elementi ricorrenti nei
film di Bergman: sospiri, spasmi di dolore, grida, cui si aggiungono rumori di
scena (tormenta, lancette, rintocchi d’orologio e campanelli) che hanno un
ruolo molto importante; non mancano gli strumenti principali, come il violoncello,
voce della morte - Sarabande dalla Suite n. 5 in Do minore, BWV 1011 di
Bach, eseguita al violoncello da Pierre
Fournier - , il pianoforte, suono del ricordo e della madre, nonché
il carillon, suo parente luccicante, simbolo dell’infanzia perduta (con musica
di repertorio, un estratto dal “Bel Danubio Blu”, a significare anche una
società nobiliare finita).
Potrei
azzardare che ci sono tre suoni -
rumori di scena, violoncello e pianoforte (imparentato simbolicamente col
carillon) - così come tre sorelle
(con tre caratteri diversi, Agnese bianca e pura, Karin nera come il senso di
realtà e disillusione, e Maria, rossa di capelli ma anche rossa di passione, donna
aggrappata alla vita che non si arrende alla solitudine) e tre colori ricorrenti nel film – nero (morte / violoncello), bianco
(purezza, ricordo, infanzia finita, spensieratezza passata, luce, esterni /
pianoforte-carillon) rosso (dolore, sangue, rabbia, grida, tormenta, banalmente
anche i colori delle tende / rumori di scena).
Rumore
di lancette nel più assoluto silenzio, sospiri dolorosi e spasmi preludono il
risveglio della protagonista; dopo nove minuti che sembrano durare un’eternità,
udiamo il carillon che suona un estratto breve dal Danubio Blu di J. Strass
mentre scorrono immagini di casa di bambole: tra la musica di repertorio, il
celeberrimo walzer che tanta parte avrà nel cinema (pensiamo anche al film “Odissea
nello spazio” di Kubrik e non solo) è simbolo di caducità dell’ancien regime ma
anche, in questo peculiare caso, simbolo della fine dell’infanzia, della
spensieratezza delle tre sorelle. Ora la protagonista è alla fine della sua
vita, se di vita si può parlare nel suo caso.
Ogni
volta che sentiamo rintoccare il vecchio orologio a pendolo, parte un feed back
in cui ciascuno dei personaggi ricorda qualcosa del suo passato, o del passato
dei suoi cari, in modo soggettivo, come se potessimo, ad ogni scoccar d’ora,
assistere alla versione dei fatti di ciascun personaggio, comprenderlo nel
profondo e perdonargli anche le scelte più aberranti.
Il
primo feed back è di Agnese, la sorella che sta morendo: ella ricorda sua
madre, rivive le tappe del loro incompreso rapporto; il pianoforte chopiniano -
Mazurka in La minore, op. 17 n. 4, di Fryderyk Chopin, eseguita al pianoforte da
Käbi Laretei - suona come malinconico commento e ricordo sommesso e lontano.
Non
vi è differenza tra mondo esteriore sconquassato dalla tormenta e mondo
interiore travagliato dei personaggi in scena, cui si sommano gli spasmi
dolorosi e il respiro affannoso della moribonda Agnese, scandito dai rintocchi
inesorabili degli orologi, gli stessi rintocchi che accompagnano la vestizione
e ricomposizione del cadavere della donna.
Dopo
la morte di Agnese, e dopo i personali feed back in cui capiamo le motivazioni
terribili e profonde che portano le due sorelle rimaste ad essere come sono
(Karin ad esempio è borderline e alterna,
anche nel parlare, momenti di grande durezza e severità alla più esplicita depressione)
le vediamo infine parlare e riconciliarsi, comprendersi, baciarsi,
accarezzarsi, avvicinarsi dopo anni; non udiamo parole, vediamo solo gesti e
labbra che si muovono, ma sentiamo la musica di Bach al violoncello solo: anche
Agnese è con loro, simbolicamente, il dolore della sua morte le ha
riavvicinate.
Riascoltiamo
Bach al violoncello solo, quando Anna, la serva, resta per ultima a consolare
Agnese e resta vicino alla donna dolorante fino all’ultimo. Riascoltiamo anche
Chopin al pianoforte quando Anna legge il diario di Agnese, e le parole ci
riportano a rivedere le tre sorelle in giardino a passeggiare, nella luce
bianca della spensieratezza perduta.
Il
film termina acusticamente con tre rintocchi di pendolo.
Il
20 gennaio 2005 Bergman ha ricevuto il Premio Federico Fellini - che aspira a
diventare il "Premio Nobel del cinema" - per l'eccellenza della sua
produzione artistica cinematografica. Il 30 luglio 2007, all'età di ottantanove
anni, muore nella sua casa di Fårö, un'isola svedese del mar Baltico, lo stesso
giorno della scomparsa del regista italiano Michelangelo Antonioni.