LA VOCE DEL CINEMA
LA VOCE DEL CINEMA
Concerto
26 MAGGIO 2018
CASA DELLA DANZA E DELLA MUSICA
ORE 21:00
Soprano: MONIKA LUKAS
pianoforte: MARIANGELA UNGARO
Questo concerto è dedicato alla voce e al cinema.
Il cinema ha avuto l'intelligenza di comunicare alle masse messaggi chiari grazie al sodalizio con la più universale delle arti: la musica.
In questo concerto ascolterete quindi alcune celebri arie d'opera utilizzate dalla settima arte nei contesti più diversi e con funzioni a volte opposte all'immagine stessa, ma anche i brani originali scritti per il cinema che sono entrati nell'immaginario collettivo, quando non addirittura hanno creato dal nulla il “sound” di quel territorio, di quel personaggio, di quella situazione, di quel cocktail di stati d'animo. Si desidera inoltre omaggiare il maestro Ennio Morricone che proprio quest'anno termina la sua folgorante e meritatissima carriera.
Il cinema ha avuto l'intelligenza di comunicare alle masse messaggi chiari grazie al sodalizio con la più universale delle arti: la musica.
In questo concerto ascolterete quindi alcune celebri arie d'opera utilizzate dalla settima arte nei contesti più diversi e con funzioni a volte opposte all'immagine stessa, ma anche i brani originali scritti per il cinema che sono entrati nell'immaginario collettivo, quando non addirittura hanno creato dal nulla il “sound” di quel territorio, di quel personaggio, di quella situazione, di quel cocktail di stati d'animo. Si desidera inoltre omaggiare il maestro Ennio Morricone che proprio quest'anno termina la sua folgorante e meritatissima carriera.
Casta Diva
Una delle arie più famose tratta da “Norma” un'opera in due atti di Vincenzo Bellini su libretto di Felice Romani, tratto dalla tragedia Norma di Soumet.
Composta in meno di tre mesi, nel 1831, si svolge nelle Gallie, all'epoca della dominazione romana.
Nell'antefatto la sacerdotessa Norma, figlia del capo dei druidi Oroveso, è stata l'amante segreta del proconsole romano Pollione, dal quale ha avuto due figli, custoditi dalla fedele Clotilde all'insaputa di tutti.
Pollione si innamora di un'altra donna, una giovane sacerdotessa, con la quale tradisce la madre dei suoi figli.
Quest'ultima risparmia ai figli la morte, e li mette in salvo; in extremis, invece di immolare la giovane amante, ammette la sua colpa e si suicida con l'amato, che ha finalmente compreso la sua grandezza.
Quest’aria è la preghiera che Norma dedica alla Luna affinché porti la pace.
Una delle arie più famose tratta da “Norma” un'opera in due atti di Vincenzo Bellini su libretto di Felice Romani, tratto dalla tragedia Norma di Soumet.
Composta in meno di tre mesi, nel 1831, si svolge nelle Gallie, all'epoca della dominazione romana.
Nell'antefatto la sacerdotessa Norma, figlia del capo dei druidi Oroveso, è stata l'amante segreta del proconsole romano Pollione, dal quale ha avuto due figli, custoditi dalla fedele Clotilde all'insaputa di tutti.
Pollione si innamora di un'altra donna, una giovane sacerdotessa, con la quale tradisce la madre dei suoi figli.
Quest'ultima risparmia ai figli la morte, e li mette in salvo; in extremis, invece di immolare la giovane amante, ammette la sua colpa e si suicida con l'amato, che ha finalmente compreso la sua grandezza.
Quest’aria è la preghiera che Norma dedica alla Luna affinché porti la pace.
Casta diva che inargenti
Queste sacre antiche piante,
A noi volgi il bel sembiante
Senza nube e senza vel.
Tempra tu de’ cori ardenti,
Tempra ancor lo zelo audace,
Spargi in terra quella pace
Che regnar tu fai nel ciel.
Queste sacre antiche piante,
A noi volgi il bel sembiante
Senza nube e senza vel.
Tempra tu de’ cori ardenti,
Tempra ancor lo zelo audace,
Spargi in terra quella pace
Che regnar tu fai nel ciel.
Casta diva film (1935) Regia di Carmine Gallone. Scritto da Walter Reisch e Corrado Alvaro. Fotografia di Franz Planer e Massimo Terzano. Musiche di Bellini, Rossini, Paganini arrangiate e dirette da Willy Schmidt-Gentner.
E' un film di pura fantasia, un'invenzione che si appoggia sulla vita di Bellini, che Gallone gira tre volte: due nel 1935, versione italiana e versione inglese (con attori diversi), e poi nel 1954, a colori.
Il soggetto parte probabilmente dalla biografia di Francesco Florimo, amico e compagno di studi di Bellini, ma le libertà prese da Gallone e dai suoi sceneggiatori sono davvero tante, troppe, e troppo spesso inverosimili. L'unica verità è la storia d'amore tra Bellini e Maddalena Fumaroli: si conobbero a Napoli dove Bellini studiava al Conservatorio, ma il padre di lei si oppose sempre alla relazione.
Al minuto 21:00, possiamo ascoltare l'aria in tutto il suo splendore: tornato al Conservatorio, Vincenzo disegna per i suoi amici gli occhi della ragazza; si dispiace di non saper disegnare, trasforma il disegno in un pentagramma e comincia a scrivere la melodia Casta Diva, sul testo "occhi puri, occhi casti".
Il film si conclude tragicamente con la morte di Maddalena mentre Vincenzo raccoglie applausi a Milano.
La vera Maddalena Fumaroli morì nel 1834, quando Bellini era a Parigi. A Parigi, nel 1835, dopo il successo di "I Puritani", morirà anche Vincenzo Bellini, a soli 34 anni, probabilmente di colera.
E' un film di pura fantasia, un'invenzione che si appoggia sulla vita di Bellini, che Gallone gira tre volte: due nel 1935, versione italiana e versione inglese (con attori diversi), e poi nel 1954, a colori.
Il soggetto parte probabilmente dalla biografia di Francesco Florimo, amico e compagno di studi di Bellini, ma le libertà prese da Gallone e dai suoi sceneggiatori sono davvero tante, troppe, e troppo spesso inverosimili. L'unica verità è la storia d'amore tra Bellini e Maddalena Fumaroli: si conobbero a Napoli dove Bellini studiava al Conservatorio, ma il padre di lei si oppose sempre alla relazione.
Al minuto 21:00, possiamo ascoltare l'aria in tutto il suo splendore: tornato al Conservatorio, Vincenzo disegna per i suoi amici gli occhi della ragazza; si dispiace di non saper disegnare, trasforma il disegno in un pentagramma e comincia a scrivere la melodia Casta Diva, sul testo "occhi puri, occhi casti".
Il film si conclude tragicamente con la morte di Maddalena mentre Vincenzo raccoglie applausi a Milano.
La vera Maddalena Fumaroli morì nel 1834, quando Bellini era a Parigi. A Parigi, nel 1835, dopo il successo di "I Puritani", morirà anche Vincenzo Bellini, a soli 34 anni, probabilmente di colera.
Oh mio babbino caro è una delle arie pucciniane più conosciute: inserita nell'opera “Gianni Schicchi”-un'opera comica in un atto di Giacomo Puccini, su libretto di Forzano basato su un episodio del Canto XXX dell'Inferno di Dante (vv. 22-48)- . Fa parte del Trittico. La prima assoluta ha avuto luogo il 14 dicembre 1918 al Metropolitan di New York.
Siamo ne1299: Gianni Schicchi, famoso in tutta Firenze per il suo spirito acuto e perspicace, viene chiamato in gran fretta dai parenti di Buoso Donati, un ricco mercante appena spirato, affinché li salvi da un'incresciosa situazione: il loro congiunto ha infatti lasciato in eredità i propri beni al vicino convento di frati, senza disporre nulla in favore dei suoi parenti.
Inizialmente Schicchi rifiuta di aiutarli a causa dell'atteggiamento sprezzante che la famiglia Donati, dell'aristocrazia fiorentina, mostra verso di lui, uomo della «gente nova». Ma le preghiere della figlia Lauretta (romanza «O mio babbino caro»), innamorata di Rinuccio, il giovane nipote di Buoso Donati, lo spingono a tornare sui suoi passi e a escogitare un piano, che si tramuterà successivamente in beffa: infatti Schicchi, sotto le coltri del letto insieme al defunto, detta al notaio che il bene più importante (la casa con tutte le proprietà) sia proprio di Schicchi che, non potendo essere screditato dai parenti serpenti, li scaccia. Fuori, sul balcone, Lauretta e Rinuccio si abbracciano teneramente, mentre Gianni Schicchi sorridendo contempla la loro felicità, compiaciuto della propria astuzia.
L'aria è stata utilizzata in modo geniale nel film L'onore dei Prizzi (Prizzi's Honor) una pellicola del 1985 diretto da John Huston. La figlia del capo mafioso, segretamente -ma non troppo- invaghita da anni di un uomo, cerca di attirare la pietà del padre raccontandogli che questi l'ha violentata, cosa che in realtà non è mai successa: lei se l'è studiata bene, con le sue occhiaie finte, disegnate con matita e ombretto. Padre e figlia sono seduti attorno al tavolino della cucina e sullo sfondo ecco una radiolina da cui proviene l'aria d'opera che sonorizza il dialogo.
In una delle scene più comiche del film Mr. Bean's Holiday un film commedia britannico del 2007, diretto da Steve Bendelack, Mr. Bean e Stepan improvvisano una recita mimica sulle note di "Oh mio babbino caro" di Puccini, racimolando abbastanza soldi da potersi pagare un viaggio in autobus.
Siamo ne1299: Gianni Schicchi, famoso in tutta Firenze per il suo spirito acuto e perspicace, viene chiamato in gran fretta dai parenti di Buoso Donati, un ricco mercante appena spirato, affinché li salvi da un'incresciosa situazione: il loro congiunto ha infatti lasciato in eredità i propri beni al vicino convento di frati, senza disporre nulla in favore dei suoi parenti.
Inizialmente Schicchi rifiuta di aiutarli a causa dell'atteggiamento sprezzante che la famiglia Donati, dell'aristocrazia fiorentina, mostra verso di lui, uomo della «gente nova». Ma le preghiere della figlia Lauretta (romanza «O mio babbino caro»), innamorata di Rinuccio, il giovane nipote di Buoso Donati, lo spingono a tornare sui suoi passi e a escogitare un piano, che si tramuterà successivamente in beffa: infatti Schicchi, sotto le coltri del letto insieme al defunto, detta al notaio che il bene più importante (la casa con tutte le proprietà) sia proprio di Schicchi che, non potendo essere screditato dai parenti serpenti, li scaccia. Fuori, sul balcone, Lauretta e Rinuccio si abbracciano teneramente, mentre Gianni Schicchi sorridendo contempla la loro felicità, compiaciuto della propria astuzia.
L'aria è stata utilizzata in modo geniale nel film L'onore dei Prizzi (Prizzi's Honor) una pellicola del 1985 diretto da John Huston. La figlia del capo mafioso, segretamente -ma non troppo- invaghita da anni di un uomo, cerca di attirare la pietà del padre raccontandogli che questi l'ha violentata, cosa che in realtà non è mai successa: lei se l'è studiata bene, con le sue occhiaie finte, disegnate con matita e ombretto. Padre e figlia sono seduti attorno al tavolino della cucina e sullo sfondo ecco una radiolina da cui proviene l'aria d'opera che sonorizza il dialogo.
In una delle scene più comiche del film Mr. Bean's Holiday un film commedia britannico del 2007, diretto da Steve Bendelack, Mr. Bean e Stepan improvvisano una recita mimica sulle note di "Oh mio babbino caro" di Puccini, racimolando abbastanza soldi da potersi pagare un viaggio in autobus.
L'aria “Sempre Libera” tratta dal primo atto della Traviata di Verdi, è un inno al piacere da parte della giovane Violetta, un invito a festeggiare la vita con entusiasmo, che però maschera un evidente stato di crisi.
Lo stesso che si cela dietro l'uso che il cinema ne ha fatto di questo brano: tra i vari film che sfruttano quest'aria e molti altri brani celebri dell'opera verdiana utilizzati dalla settima arte (il brindisi, Parigi oh cara, croce e delizia e così via) colpiscono due film agli antipodi per genere e per poetica cinematografica; il primo film è di Pasolini, grande maestro italiano, che nel film “La Ricotta” attinge alla celebre aria ma ne maneggia il timbro e l'arrangiamento, e l'aria verdiana diventa un pezzo da comica in bianco e nero anni '30, mentre un sinth velocizzato, neanche fosse un organetto di barberia, accompagna le scene in cui il ricottaro corre da una parte all'altra, nel disperato tentativo di lenire la fame. L'altra pellicola è “Le avventure di Priscilla, regina del deserto” di un film australiano del 1994 diretto da Stephan Elliott, vincitore del Premio Oscar 1995 per i migliori costumi.
Ascoltiamo l'aria verdiana mentre uno dei transessuali, in piedi sul torpedone sgangherato, che arranca tra la polvere e la calura del bush australiano, vestito di tutto punto da grand soiret, si lascia andare col vento tra le braccia, e canta l'aria doppiando la soprano lirica, mentre il lungo strascico luccicante del vestito svolazza divertito.
Lo stesso che si cela dietro l'uso che il cinema ne ha fatto di questo brano: tra i vari film che sfruttano quest'aria e molti altri brani celebri dell'opera verdiana utilizzati dalla settima arte (il brindisi, Parigi oh cara, croce e delizia e così via) colpiscono due film agli antipodi per genere e per poetica cinematografica; il primo film è di Pasolini, grande maestro italiano, che nel film “La Ricotta” attinge alla celebre aria ma ne maneggia il timbro e l'arrangiamento, e l'aria verdiana diventa un pezzo da comica in bianco e nero anni '30, mentre un sinth velocizzato, neanche fosse un organetto di barberia, accompagna le scene in cui il ricottaro corre da una parte all'altra, nel disperato tentativo di lenire la fame. L'altra pellicola è “Le avventure di Priscilla, regina del deserto” di un film australiano del 1994 diretto da Stephan Elliott, vincitore del Premio Oscar 1995 per i migliori costumi.
Ascoltiamo l'aria verdiana mentre uno dei transessuali, in piedi sul torpedone sgangherato, che arranca tra la polvere e la calura del bush australiano, vestito di tutto punto da grand soiret, si lascia andare col vento tra le braccia, e canta l'aria doppiando la soprano lirica, mentre il lungo strascico luccicante del vestito svolazza divertito.
Nuovo Cinema Paradiso è un film del 1988 scritto e diretto da Giuseppe Tornatore.
La musica di Ennio Morricone e il tema principale sono ormai entrati nell'immaginario collettivo: bastano poche note e già siamo al cinema insieme al regista che ricorda la sua dolcissima vita sebbene negata negli affetti, ma piena e soddisfacente. La melodia infatti è sostanzialmente minore ma è un dolore non detto, mascherato da un andamento rilassato, che ammicca ai toni maggiori sempre ridenti, anche se qui hanno più una funzione, non so bene se di riposo, o di serena rassegnazione.
La musica di Ennio Morricone e il tema principale sono ormai entrati nell'immaginario collettivo: bastano poche note e già siamo al cinema insieme al regista che ricorda la sua dolcissima vita sebbene negata negli affetti, ma piena e soddisfacente. La melodia infatti è sostanzialmente minore ma è un dolore non detto, mascherato da un andamento rilassato, che ammicca ai toni maggiori sempre ridenti, anche se qui hanno più una funzione, non so bene se di riposo, o di serena rassegnazione.
Gabriel's oboe è il tema portante scritto da Ennio Morricone per Mission (The Mission) un film del 1986 diretto da Roland Joffé, vincitore della Palma d'oro al 39º Festival di Cannes. Ascoltare il missionario che suona l'oboe ci fa in realtà ascoltare la voce della natura incontaminata e selvaggia del cuore dell'Amazzonia, respiriamo le cascate cristalline, siamo immersi in un mondo verde; grandi primi piani dello sguardo del suonatore impaurito, ma illuminato dalla grazia di Dio, mischiati a immensi en plein air del paesaggio lussureggiante e infinito.
Gabriel's oboe è un esempio di come Morricone abbia creato il suono di un dato territorio e di uno stato d'animo, connotando un personaggio, e il suo messaggio di pace.
Gabriel's oboe è un esempio di come Morricone abbia creato il suono di un dato territorio e di uno stato d'animo, connotando un personaggio, e il suo messaggio di pace.
The Godfather, il Padrino, è un altro classico della musica per film.
Si tratta di una trilogia dedicata al mondo della mafia.
Il tema portante, scritto da Morricone per le pellicole dirette da Francis Ford Coppola,
- rispettivamente nel 1972, '74 e '90 - , è una melodia dagli evidenti connotati popolari tipici della Sicilia; l'arrangiamento questa volta è originale di Mariangela Ungaro.
Il tema è in minore e si muove sugli assi portanti della cupola, ops, della trinità, scusate, della gerarchia dei gradi della scala (IV, V e I). Il brano si potrebbe definire bipartito, con un primo tema minore, solenne, sacrale, e un secondo maggiore, delicato, che ci porta in Sicilia tra il profumo degli agrumeti.
L'arrangiamento è volutamente basato sull'ottava, la massima apertura concessa, con tremolo, a ricordare un mandolino che fa tanto vecchia Italia, tra terremoti e Provvidenza, tra potere e debolezza, tra grandezza, gloriosa cultura e profonde contraddizioni.
Si tratta di una trilogia dedicata al mondo della mafia.
Il tema portante, scritto da Morricone per le pellicole dirette da Francis Ford Coppola,
- rispettivamente nel 1972, '74 e '90 - , è una melodia dagli evidenti connotati popolari tipici della Sicilia; l'arrangiamento questa volta è originale di Mariangela Ungaro.
Il tema è in minore e si muove sugli assi portanti della cupola, ops, della trinità, scusate, della gerarchia dei gradi della scala (IV, V e I). Il brano si potrebbe definire bipartito, con un primo tema minore, solenne, sacrale, e un secondo maggiore, delicato, che ci porta in Sicilia tra il profumo degli agrumeti.
L'arrangiamento è volutamente basato sull'ottava, la massima apertura concessa, con tremolo, a ricordare un mandolino che fa tanto vecchia Italia, tra terremoti e Provvidenza, tra potere e debolezza, tra grandezza, gloriosa cultura e profonde contraddizioni.
Il segreto del Sahara è uno sceneggiato televisivo in quattro puntate di genere fantastico-avventuroso del 1988, diretto da Alberto Negrin.
Saharan dream è la sigla di ogni puntata ed è di Ennio Morrione.
La sigla è una produzione tanto eccezionale quanto aforistica, e di grande effetto: in un minuto circa devono farci capire il contesto, i personaggi e più o meno i contenuti della serie televisiva, mentre scorrono sullo schermo le immagini tratte dalle scene chiave di alcuni episodi.
Se il deserto del Sahara avesse un suono, sarebbe proprio quello del brano del maestro Morricone: un coro sommesso si erge dalla montagna sacra, poi la voce dolcissima di Amii Stewart ci riempie come si assommasse un'orchestra alla sinfonica preesistente. Le note dell'introduzione vibrano e vagano come le onde di calore che creano un miraggio, ed ecco stagliarsi la melodia principale, che sembra finalmente essersi incarnata in qualcosa che possiamo comprendere
Saharan dream è la sigla di ogni puntata ed è di Ennio Morrione.
La sigla è una produzione tanto eccezionale quanto aforistica, e di grande effetto: in un minuto circa devono farci capire il contesto, i personaggi e più o meno i contenuti della serie televisiva, mentre scorrono sullo schermo le immagini tratte dalle scene chiave di alcuni episodi.
Se il deserto del Sahara avesse un suono, sarebbe proprio quello del brano del maestro Morricone: un coro sommesso si erge dalla montagna sacra, poi la voce dolcissima di Amii Stewart ci riempie come si assommasse un'orchestra alla sinfonica preesistente. Le note dell'introduzione vibrano e vagano come le onde di calore che creano un miraggio, ed ecco stagliarsi la melodia principale, che sembra finalmente essersi incarnata in qualcosa che possiamo comprendere
C'era una volta il West: un film del 1968 che è un mondo, il nuovo mondo, la creazione dell'Ovest e dell'America come grande nazione, il territorio dei pionieri e dei reietti che trovano una seconda possibilità.
Il film di Sergio Leone è musicato da Morrricone, che si può definire il creatore del sound western. Ascoltiamo questa sera il celebre tema di Jill, la protagonista del
Il film di Sergio Leone è musicato da Morrricone, che si può definire il creatore del sound western. Ascoltiamo questa sera il celebre tema di Jill, la protagonista del
film, una donna che è il simbolo del west stesso, nonché madre e progenitrice, pioniera di quell'America che vuole crescere, collegata dalla ferrovia, da oceano a oceano.
C'era una volta il west è il primo episodio della trilogia del tempo di Leone, che proseguirà con Giù la testa (1971) e C'era una volta in America (1984). Ascoltiamo anche questi due brani. La parola SEAN SEAN in Giù la testa è riferita al personaggio irlandese, talentuoso con gli esplosivi.
In quanto al tema di C'era una volta in America, siamo di fronte al suono del ricordo, del rimpianto, della ricerca del perdono e della rassegnazione perché in qualche modo “doveva andare così”.
C'era una volta il west è il primo episodio della trilogia del tempo di Leone, che proseguirà con Giù la testa (1971) e C'era una volta in America (1984). Ascoltiamo anche questi due brani. La parola SEAN SEAN in Giù la testa è riferita al personaggio irlandese, talentuoso con gli esplosivi.
In quanto al tema di C'era una volta in America, siamo di fronte al suono del ricordo, del rimpianto, della ricerca del perdono e della rassegnazione perché in qualche modo “doveva andare così”.
La leggenda del pianista sull'oceano è un film del 1998 diretto da Giuseppe Tornatore, tratto dal monologo teatrale Novecento di Alessandro Baricco.
La colonna sonora del film, composta da Ennio Morricone (che ha impiegato quasi un anno nella stesura), è composta da almeno trenta brani, e nel 2000 è riuscita ad aggiudicarsi un Golden Globe per la migliore colonna sonora originale. Il tema di questa sera è il celebre “Playing love” per piano solo, nella versione originale scritta da Mariangela Ungaro: Novecento ha finalmente concesso la prima ed unica registrazione di tutta la sua vita, quando scorge da un oblò una giovane dal viso dolcissimo ma lo sguardo attraversato da mille pensieri in opposizione tra loro; come era solito fare, Novecento ne dipinge con la musica la fisionomia, il carattere, tutto ciò che coglie da quella giovane, sebbene per pochi istanti.
Lezioni di piano (The Piano) è un film del 1993 scritto e diretto da Jane Campion.
Una musica intensa, come l'amore tra i due protagonisti della vicenda, appassionato, malsano, basato sull'inganno: solo pochi momenti armonici di distensione, le note si susseguono senza soluzione di continuità in un continuum reiterato di arpeggi spezzati che le due mani incrociano, spesso con accenti sfalsati per accentuare la drammaticità del brano. Arragiamento originale di Mariangela Ungaro.
Una musica intensa, come l'amore tra i due protagonisti della vicenda, appassionato, malsano, basato sull'inganno: solo pochi momenti armonici di distensione, le note si susseguono senza soluzione di continuità in un continuum reiterato di arpeggi spezzati che le due mani incrociano, spesso con accenti sfalsati per accentuare la drammaticità del brano. Arragiamento originale di Mariangela Ungaro.
Addio alle armi (A Farewell to Arms) è un romanzo dello scrittore statunitense Ernest Hemingway, pubblicato nel 1929. Ne furono girati almeno due film, uno nel '32 e uno nel '57 diretto da Charles Vidor, il cui tema principale è quello che andremo ad ascoltare. Il film è stato musicato dal grande maestro Mario Nascimbene, il primo compositore italiano (diplomato al Conservatorio di Milano) invitato a Hollywood. Il tema è dolce, quel sapore d'altri tempi, sembra di ascoltarlo da un vecchio grammofono; una storia d'amore nata e morta tra lo scempio della seconda guerra mondiale, e le note che si ergono al di sopra delle parti e parlano di pace, di buoni sentimenti, di amore ancora possibile nonostante tutto.
Sacco e Vanzetti è un film del 1971 diretto da Giuliano Montaldo, con Gian Maria Volonté e Riccardo Cucciolla. Il film narra la vicenda realmente accaduta a Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, due anarchici italiani emigrati negli Stati Uniti a inizio Novecento.
Ascoltiamo insieme uno dei brani più struggenti della letteratura musicale per cinema, “Speranze di libertà” una melodia priva di retorica, profonda, intensa, l'anelito di chi vorrebbe vivere, ma proprio perché innocente, ha la dignità di accettare il suo destino ingiusto e di compierlo fino in fondo.
Ascoltiamo insieme uno dei brani più struggenti della letteratura musicale per cinema, “Speranze di libertà” una melodia priva di retorica, profonda, intensa, l'anelito di chi vorrebbe vivere, ma proprio perché innocente, ha la dignità di accettare il suo destino ingiusto e di compierlo fino in fondo.